domenica 25 aprile 2010

TARIFFE RETROATTIVE: LA SENTENZA NON CANCELLA L’INGIUSTIZIA

Feltrin: “Restituire i soldi aumentando le agevolazioni”

La recente sentenza del Consiglio di Stato sulla vicenda delle tariffe retroattive dell’acqua potabile rappresenta senz’altro un elemento di forte delusione non solo per chi aveva presentato il ricorso, ma per tutti i polesani.
Polesine Servizi canta vittoria, perché non dovrà restituire 3,2 milioni prelevati indebitamente dai cittadini del Polesine, ma il segnale che emerge complessivamente è tutt’altro che positivo. Per un semplice vizio di forma, infatti, migliaia di famiglie e di aziende si vedono negata la restituzione di quanto pagato sulla base di una delibera illegittima nella sostanza.
Perché deve essere chiaro che il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del TAR per un mero vizio di forma: un ritardo sui termini di presentazione del ricorso (e, su questo, penso si dovrebbero rivedere le normative, perché come si può pretendere che i cittadini ricorrano contro una delibera venendone a conoscenza dal BUR o dall’albo pretorio?). Sul merito, insomma, hanno ragione i ricorrenti e chi, come noi, ha sempre sostenuto che non si possono aumentare retroattivamente le tariffe.
Di fronte a questo qual è l’atteggiamento della politica polesana? In buona parte si limita a gongolare per il risultato della sentenza che non la costringerà a trovare altre strane alchimie per recuperare i soldi che avrebbe dovuto restituire agli utenti. Senza contare che la sostanza di questa vicenda parla di un’ingiustizia di fondo nei confronti dei cittadini, che fa seguito a una perdurante cattiva gestione. E il fatto che sia un’azienda pubblica di proprietà dei Comuni a compiere questa ingiustizia non aiuta certo la politica a guadagnare credibilità agli occhi dei cittadini, né contribuisce a favore della gestione pubblica dei servizi locali, già profondamente minacciata da provvedimenti legislativi e da altre questioni locali.
Ecco allora che forse la politica, anziché limitarsi a gongolare, dovrebbe pensare a come restituire comunque ai cittadini almeno una parte del maltolto, oltre che, ovviamente, preoccuparsi in maniera seria e decisa di come recuperare in maniera seria efficienza e qualità del servizio e risolvere quelle questioni che minacciano la gestione pubblica del servizio (liquidando, insomma, l’anomalia SODEA-SAGIDEP).
Lancio allora una proposta, che forse può contribuire a far recuperare un minimo di credibilità e fiducia alla politica: si usino i soldi che avrebbero dovuto essere restituiti ai cittadini per estendere le agevolazioni tariffarie alle famiglie in difficoltà. A fine dello scorso anno, infatti, l’ATO ha deciso di istituire alcune agevolazioni tariffarie, che però, oltre ad essere estremamente limitate come entità (si parla di 20 mc/anno per persona) interessano una fascia molto limitata di cittadini: famiglie numerose o nuclei familiari con un ISEE molto basso. La nostra proposta è quella di estendere tali agevolazioni innalzando il limite ISEE ed aumentarne l’entità, almeno per le categorie più deboli.
Ovviamente questo non servirebbe né a compensare, né a giustificare la scorrettezza fatta tre anni fa, ma almeno si darebbe un aiuto concreto alle famiglie colpite dalla crisi e, forse, la politica tornerebbe ad essere percepita come “utile”.

Lorenzo Feltrin
Segretario provinciale PRC
Portavoce Federazione della Sinistra

lunedì 19 aprile 2010

I 14 MILIONI DI EURO SPRECATI NELLA SANITA’ POLESANA

di Guglielmo Brusco - Assessore Provinciale alla Sanità

Per il Polesine 14 milioni di euro potrebbero servire a:
• 7000 borse lavoro da 2000 euro per far lavorare per 2/3 mesi persone particolarmente disagiate dal punto di vista socio-economico. Un modo per fronteggiare senza assistenzialismo passivo anche le povertà estreme.
oppure
• Migliaia di bonus famiglia per pagare le bollette e per sostegni economici necessari a superare l’attuale crisi economica.
oppure
• Assumere 350 nuovi dipendenti per la sanità pubblica dell’Asl 18. Questo fatto indubbiamente la renderebbe più efficiente e meno dispoendiosa per la gente.
oppure
• Assumere i circa 200 dipendenti che mancano dalla pianta organica dell’Asl 18, più alcune decine di disabili polesani.
ed infine
• Pagare l’integrazioni di retta, al posto dei famigliari, per le persone non autosufficienti ricoverate in casa di riposo (e anche quelle dei malati psichiatrici gravi e gravissimi ricoverati in strutture a media-alta intensità).

Invece decine di milioni di euro, in questi anni, sono servite e servono, secondo quanto affermato dal direttore generale dell’Asl 18 di Rovigo, per acquistare servizi sanitari da cliniche e ambulatori privati, che potrebbero essere erogati grazie alle proprie risorse, dalle strutture pubbliche.
E’ da anni che evidenzio pubblicamente questo problema, ma quasi nessuno ha preso in considerazione le mie tesi. Oggi che queste cose, chissà perché e con anni di ritardo, vengono rese pubbliche anche dal direttore generale dell’Asl 18, Dr. Marcolongo, spero che alcune istituzioni addette al controllo, rispondano a domande come queste:
Tutto questo è avvenuto per incapacità o per scelta? Se è avvenuto per scelta, chi è responsabile di tale programmazione: gli Assessori Regionali alla sanità, la Direzione dell’Asl 18 o altri?
Perché, sapendo di poter risparmiare decine di milioni di euro, nessuno di quelli che potevano farlo ha fermato questo, chiamiamolo eufemisticamente, ingiustificato flusso di denaro pubblico verso gestori privati?
Chi ci ha guadagnato da queste operazioni: solo i gestori privati o anche altri soggetti? Insomma un bel rebus da chiarire per una comunità come quella polesana che con 14 milioni di euro non sprecati potrebbe fare tante cose. E sia ben chiaro che, visto che esistono, non è che chiedo la chiusura delle strutture private utili all’eraogazione di servizi sanitari pubblici. Chiedo però che eroghino servizi che le strutture pubbliche non riescono a dare alla gente. Chiedo ad esempio, che non si cedano al privato servizi come la fisioterapia che potrebbero essere svolti dal gestore pubblico a prezzi molto più convenienti.
Perché alla fine paga la gente con le proprie tasse, con spese per visite private, con costi aggiuntivi per far accudire i propri cari ricoverati in ospedale da persone che suppliscono alla carenza di personale, ecc…
E questo lo dico anche se la maggioranza della gente alla fine, seppur informata, comunque vota proprio i maggiori responsabili di questa situazione (LEGA e PDL) che nel Veneto li penalizzano proprio nel campo della sanità.
Insomma, nonostante tutto, lavoriamo anche per chi, meriterebbe sentirsi dire: “Chi è causa del suo mal, peste lo colga!”

venerdì 16 aprile 2010

Finalmente un Polesine produttivo e contro gli sprechi: AROMABAG



Una volta tanto possiamo dire che finalmente il Polesine è innovativo e crea tendenza!
In un mondo fatto di consumismo sfrenato, di acquisti inutili e inseguimento all’indumento più fashion, da noi si sperimenta l’AromaBag, una borsa prodotta riciclando i sacchetti del caffè.

AromaBag è la storia personale di un sacchetto di caffè. Un giorno, dopo aver donato i suoi chicchi ad una macchina per l’espresso, decise di non gettarsi. Non si sentiva un rifiuto. Voleva continuare a vivere. Nello scaffale del bar dove sostava aspettando di essere svuotato ammirava con occhi lucidi le avventrici portare quegli strani contenitori colorati gelosamente sempre con loro, riempiendoli di mille oggetti. Sotto braccio. E sognava….Non si sentiva esteticamente inferiore a quei bei tessuti o a quel liscio pellame. Era convinto del contrario. Di avere una marcia in più. Così decise. Sarebbe diventato una borsa. Con un inconfondibile aroma di caffè…

La prima AromaBag nasce nella primavera del 2007, ideata da un ragazzo polesano, di ritorno da un viaggio tra la Spagna e il Portogallo. Stava riflettendo su una borsa appena acquistata da un compagno di viaggio nel centro di Salamanca. Una borsa bellissima, resistente e “metropolitana”. Proprio come piacevano a lui. Aveva un difetto solo... costava! Mentre uno studente squattrinato, ovviamente non poteva permettersela. Pochi giorni dopo il rientro in Italia, decise di crearsi una borsa tutta sua, originale e allo stesso tempo ecologica. Una settimana più tardi, mentre prendeva il caffè al Bar dell’Università lo colpì il design del sacchetto del caffè che la barista versava nella macchina per l’espresso. In quel preciso momento Aroma Bag nacque, e pian piano cominciò a svilupparsi, migliorarsi e diffondersi.

Quello di Aroma Bag rimane tuttora un progetto sperimentale, anche se in via di sviluppo; potete già trovare queste borse in alcuni negozi in giro per l’Italia, ma soprattutto potete prenotarvene una direttamente dal giovane produttore.


www.aromabag.it

giovedì 15 aprile 2010

15 APRILE EQUAL PAY DAY ..ovvero borse rosse in tutt’Europa..a nome della parità di retribuzione

Una donna deve lavorare mediamente fino al 15 Aprile dell’ anno successivo per ottenere lo stesso stipendio annuo di un suo collega maschio.
Da questa constatazione, nel 2008 l'associazione BPW-Germany , Business Professional Women, ha introdotto in Europa l'Equal Pay Day , una giornata per ricordare questo divario e come la parità retributiva sia ancora un traguardo piuttosto lontano.
Nel 2009 l'Equal Pay Day dalla Germania è atterrato in tutti i paesi europei il 15 aprile, ecco perché oggi le donne usciranno in strada con qualcosa di rosso: un vestito, una sciarpa, un cappello una borsa,lo stesso colore del loro portafoglio.
Per chiedere che le loro retribuzioni siano uguali a quelle degli uomini, come lo prevede anche in Italia la nostra Costituzione, e vengano rimossi gli ostacoli che fanno la differenza.
Ancora oggi le donne guadagnano il 19% in meno degli uomini - e non perché producono meno sul lavoro, ma perché per lo stesso lavoro sono retribuite meno, perché spesso lavorano a tempo parziale,sono concentrate in occupazioni e posti di lavoro meno valorizzati, perché lavorano in settori con stipendi più bassi, perché lavorano in aziende di dimensioni più piccole, perché le loro opportunità di carriera sono ridotte a causa del capitolo famiglia.
Le donne sono più esposte alle conseguenze negative di tali scelte in materia di retribuzione, di evoluzione della carriera e di diritti al pensionamento; questo fatto comporta anche il rischio di povertà, uno svantaggio per le donne e al contempo uno svantaggio per l'economia.
Gli studi scientifici e i dibattiti sulla giornata mondiale della donna non bastano per cambiare la situazione. Bisogna discutere il tema apertamente in pubblico, sensibilizzare la popolazione sulla tematica delle pari opportunità anche nelle retribuzioni.
Presso la sala consiliare della Provincia di Rovigo si è tenuta una Conferenza, grazie all’iniziativa della commissione provinciale pari opportunità e dell’assessore e del consigliere provinciale alle pari opportunità, che ha avuto come sfondo due temi principali: l’applicazione della “Carta Europea per l’uguaglianza e la parità delle donne e degli uomini nella vita locale” e la situazione del lavoro femminile nella Provincia.

lunedì 12 aprile 2010

Solidarietà ad Emergency

Piena solidarietà ad EMERGENCY e a tutti i medici che vi prestano servizio.

E' in corso un'azione intimidatoria dei confronti della struttura di Gino Strada per minarne l'indipendenza e per far si che non possano più essere documentati i crimini di guerra che ogni giorno si consumano in Afgnaistan.

Tutto ciò non è assolutamente tollerabile.

Il governo Italiano, anzichè limitarsi a scrivere lettere, tratti in prima persona con Karzai ed esiga immediatamente il rilascio dei medici e ritiri le truppe dall'Afganistan.

Bisogna agire, subito!

RU486 (Pillola abortiva): C’è bisogno d’INFORMAZIONE non di PROPAGANDA

Riportiamo un estratto dell’articolo scritto dall’Ass. alle Pari Opportunità del Comune di Rovigo Bruna Giovanna Pineda visto che la stampa locale non ne ha praticamente parlato e vista l’importanza del tema.


Dal 2005 al 2008 sono stati 26 gli ospedali italiani che hanno importato la Ru486. Fino ad oggi è stata somministrata a 4 mila donne. Ma il sistema dell'importazione era scomodo e non poteva rispondere a tutte le richieste. Infatti alcune donne andavano in Francia e in Svizzera per sottoporsi all’interruzione di gravidanza farmacologica.

Prima della legge 194 si stimava avvenissero in Italia 350 mila aborti clandestini l’anno. Quando nel ‘78 venne varata, il legislatore s’era posto due obiettivi: abbattere il ricorso all’aborto clandestino ed evitare che l’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) divenisse un sistema di controllo delle nascite. Secondo i dati presentati ogni anno dai ministri della Salute, dal 1982 ad oggi, il numero di aborti si è ridotto del 43%, quelli clandestini del 94% e l’ivg non è mai divenuta un sistema di controllo delle nascite. Grazie alla 194 ed agli sforzi dei consultori per diffondere le conoscenze sui contraccettivi, gli aborti si sono dimezzati. Dal 1978 ad oggi si sono evitati 3 milioni e 300 mila aborti e le donne non ne muoiono più.

Gli aborti legali in Italia sono stati 121.406 nel 2008, il 4,1% in meno rispetto al 2007 con 126.562 casi e il 48,3% in meno rispetto al 1982, anno in cui si verificò il dato più alto (234.801 casi); questo è segno che la legge 194 funziona.

La situazione in Veneto - Per le donne venete la richiesta di una ivg è comunque un calvario. Secondo i dati del Ministero della Salute, il Veneto è: 1) al secondo posto in Italia per percentuale di ginecologi obiettori, ovvero l’80%); 2) al primo nella graduatoria delle ivg praticate dopo la 12ª settimana, a causa dei tempi di attesa delle strutture preposte; 3) la regione con i tempi di attesa più lunghi tra la richiesta di intervento della donna ed il momento in cui lo ottiene: il 34% delle donne attende più di 3 settimane; 4) tra le regioni con i tempi di ricovero più lunghi per l’intervento; 5) nessuna delle sue numerose strutture private convenzionate pratica ivg; 6) costringe il 13,2% delle residenti a rivolgersi a strutture esterne alla regione. Il tutto si traduce in un aumento di sofferenza per le donne, mentre l’ allungamento dei tempi di ricovero e l’esecuzione di interventi fuori regione determinano un aumento di spesa per la regione stessa.

In Veneto se sfidi la Casta perdi.....


Qualche mese fa il consiglio regionale si è occupato ad approvare la legge finanziaria; legge dalla quale dipendono finanziamenti pubblici e tassazioni per l’intero anno.
Ci troviamo come ben tutti sanno in un momento di profonda crisi economica dove la diffidenza verso il mondo politico ha raggiunto picchi elevatissimi fra la società civile.
In uno scenario così duro, si susseguono da tempo i valzer della Lega Nord e del PdL nell’addossare la colpa a Roma-ladrona, rivendicando un Veneto libero da vincoli statali, con autonomia fiscale e quindi federalismo.

Ma passare dalle parole ai fatti è molto difficile.

Il consigliere Regionale uscente dei Comunisti Italiani – Federazione delle Sinistra, ha portato in consiglio un emendamento alla legge finanziaria per sganciare le indennità dei consiglieri regionali a quelle dei parlamentari di Roma. Con la proposta di Atalmi, si impegnava quindi la giunta, ad inizio legislatura ed in modo assai trasparente, a determinare stipendi e indennità.

E’ giusto spiegare che un consigliere veneto oggi riceve circa 9.000 euro mensili a cui si aggiungono le varie indennità ed i rimborsi spese. La proposta del consigliere mirava a diminuire tale indennità a 5000 euro mensili, con le eventuali maggiorazioni per presidente, vicepresidente assessori ecc. “A chi sostiene che la mia proposta fosse pura demagogia”-sostiene Atalmi-“ rispondo che si tratta pur sempre di 5000 euro, che non sono affatto pochi e permettono sia di vivere più che dignitosamente, sia di sostenere i costi legati all’attività politica”. Infine si faceva notare come i pur alti stipendi dei consiglieri non giustificassero certo le faraoniche spese che taluni consiglieri/assessori regionali sostengono per essere rieletti, dimostrando che i costi della politica non sono sempre trasparenti e democratici.

Bene, con PdL e Lega Nord che parlano sempre di costi della politica alti, di Roma ladrona e di Veneto autonomo le premesse erano buonissime. Peccato che in maniera assai compatta il partito di Marangon e della Coppola, e la Lega di Zaia e Contiero abbiano affossato l’emendamento senza nemmeno discuterlo, evidentemente perché non trovavano giustificazioni valide a questo loro assurdo comportamento.

Il progetto è stato affondato con 25 voti contrari, 5 astensioni e solo 13 voti favorevoli.

Abbiamo quindi capito che la politica della Lega Nord è solo ed esclusivamente pura demagogia: per ogni evento è pronta a trovare un capro espiatorio al di fuori della padania, siano extracomunitari, “terroni” o politici di Roma; tuttavia quando ha la possibilità concreta di differenziarsi dal resto del Paese si mimetizza nalla casta e nei suoi privilegi.
Ci chiediamo infine se l'assessore Coppola, occupaai a presenziare a qualsiasi attività pur di pubblicizzare la sua rielezione, farà menzione di quanto è accaduto e ci spiegherà, essendo essa stessa consigliera regionale, come mai abbia affondato la diminuzione dei costi della Casta Padana...
Perché noi sinceramente non ce ne capacitiamo….

VATICANO SpA


Riporto dal libro Vaticano spa, una breve cronologia di alcuni fatti successi qualche anno fa:

1958: Il governo italiano di Leone introduce la tassazione sui dividendi della Chiesa, Papa Paolo VI dispone il trasferimento dei capitali all'estero affidandoli ad un vescovo ed un laico, rispettivamente mons. Marcinkus e Michele Sindona, banchiere che recicla il denaro di cosa nostra;

1960/69: Crescita smisurata di Sindona che compra molte banche tra cui quella svizzera Finbank, già di proprietà vaticana. Sempre negli stessi anni si affilia alla loggia massonica P2;

1971: Mons. marcinkus (americano) diventa segretario della banca vaticana, celebre la sua frase "Si può vivere in questo mondo senza preoccuparsi del denaro? La Chiesa non si dirige con l'Avemaria";

1971: Sindona presenta a Marcinkus un altro banchiere: Roberto Calvi del Banco Ambrosiano. nel frattempo Sindona compra la banca statunitense Franklin le cui partecipazioni finiscono nelle casse del banco Ambrosiano (di Calvi);

1974: il referendum sancisce il divorzio mentre la chiesa aveva finanziato la campagna contro il divorzio;

1974: la Franklin bank è in perdita così come la Banca Privata italiana (prima banca di Sindona) che viene messa in liquidazione dall'avvocato Ambrosoli; Sindona si rifugia all'estero;

1975: Negli usa lo scandalo watergate fa saltare le protezioni a Sindona. Il posto di Sindona in vaticano viene preso da Calvi (banco ambrosiano) che prende le distanze da Sindona;

1978: Sindona non ci sta e parla: ispezione della Banca d'italia al Banco Ambrosiano. Muore Paolo VI protettore del trio Calvi-Marcinkus-Sindona;

1978: Viene eletto Albino Luciano (Giovanni Paolo I) che aveva già avuto dissapori con Marcinkus e Calvi quando col banco Ambrosiano avevano comprato la Banca cattolica del veneto senza interpellare la diocesi;

1978: il giornalista della P2 Mino Pecorelli pubblica un elenco di 21 esponenti vaticani della p2 tra cui Marcinkus, l'allora segretario di stato Villlor ecc. Papa Luciani in un'intervista dichiara di voler far piazza pulita; il giorno dopo viene trovato morto a letto, l'autopsia parlerà di infarto;

1978: Viene eletto Karol Wojtyla che assicura a Marcinkus la continuità della sua azione presso lo IOR (Istituto opere religiose);

1979: per Sindona però la situazione è irreversibile, organizza l'omicidio di Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata Italiana (di sua propietà);